domenica 1 gennaio 2017

La vita di Emilio Salgari


Fonte: ww.nelcastellodicarta.it

Emilio Carlo Giuseppe Maria Salgàri  è nato a Verona il 21 agosto 1862 da una famiglia di commercianti di tessuti. Quando aveva 16 anni iniziò a studiare presso l’istituto Tecnico e Nautico di Venezia, ma 3 anni dopo abbandonò gli studi per andare a Verona ad intraprendere l’attività giornalistica.
A Verona iniziò a scrivere romanzi per alcuni giornali ( i libri più importanti scritti in questo periodo sono “Le tigri di Mompracem” e “La favorita del Mahdi”).
Quando aveva 25 anni la madre morì e un anno dopo il padre Luigi si suicidò gettandosi giù da una finestra credendosi malato di una malattia incurabile. Qualche anno dopo si sposò con Ida Peruzzi, un’attrice di teatro con cui Salgari ebbe quattro figli. Dopo la nascita della primogenita Fatima, Salgari si trasferì in Piemonte per lavorare con l’editore Speirani. Cinque anni dopo si trasferì a Genova per lavorare con l‘editore Donath e qui scrisse uno dei suoi capolavori: “Il Corsaro Nero”.
Nel 1900 si trasferì a Torino e tornò a lavorare con l’editore Speirani. In questo periodo scrisse moltissimi libri, spinto dalla necessità di denaro e iniziò anche a lavorare per altri editori: Donath e Bemporad.
Venne proclamato “Cavaliere dell’ordine della Corona Italiana” su proposta della regina Margherita di Savoia, ma la sua situazione economica non migliorò, anche perché la moglie dovette essere ricoverata in manicomio e le spese per il suo mantenimento erano elevate.
Negli ultimi anni della sua vita fu oppresso dai debiti e obbligato a scrivere tre libri l’anno, lavorando incessantemente, guadagnando pochissimo, malinconico per la situazione mentale della moglie e anche perché non veniva considerato dagli altri scrittori.
Nel 1909 cercò il suicidio gettandosi sopra una spada, ma la figlia Fatima lo fermò; il 25 aprile 1911, all’età di 48, si suicidò.
Prima di suicidarsi, su una delle collinette che sovrastano Torino, scrisse tre lettere che lasciò sul tavolo; una era indirizzata ai figli: “ Sono un vinto: non vi lascio che 150 lire, più un credito di altre 600 che incasserete dalla signora... “, una indirizzata agli editori:  “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna” e un’altra per gli editori dei giornali.
 Venne trovato da una lavandaia; si era ucciso con un rasoio, prima colpendosi ripetutamente al ventre, poi alla gola, tagliandosi le vene.

Altre disgrazie seguirono per la moglie (morta nel 1922 in manicomio), per la figlia Fatima (morta nel 1914 di  tubercolosi), per il figlio Romero (suicidatosi nel 1931), per Nadir (morto in un incidente motociclistico nel 1936) e per Omar (suicidatosi nel 1963).

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